Prevenzione incendi e Legge 07 agosto 1990 n. 241.
In un quadro di larga valutazione di legittimità ed opportunità delle scelte e dei comportamenti amministrativi, il monitoraggio compiuto su alcuni comandi campione da parte dell’Ufficio Centrale Ispettivo di questo Dipartimento ha evidenziato un’applicazione della normativa ex Legge n. 241/90, nel settore della prevenzione incendi, spesso non congrua con i criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità affermati dal legislatore.
Si ritiene pertanto necessario, nell’evidenziare le problematiche riscontrate, ripercorrere l’articolato della legge e sottolinearne le pertinenti applicazioni ed implicazioni.
L’attività di monitoraggio ha prioritariamente posto in risalto le seguenti carenze:
a) mancata o errata individuazione del «responsabile del procedimento» (è indicato in prevalenza il dipendente di qualsiasi profilo professionale, istruttore della pratica, cioè colui che esamina il progetto o esegue il sopralluogo ed esprime il parere di conformità o di rilascio del CPI;
b) mancata «comunicazione dell’avvio del procedimento» (assente o confusa con ricevuta rilasciata all’atto di presentazione dell’istanza).
A) mancata o errata individuazione del «responsabile del procedimento»
Viene frequentemente indicato come «responsabile del procedimento» il dipendente, di qualsivoglia profilo professionale, incaricato dell’istruttoria tecnica del procedimento: parere di conformità, rilascio e rinnovo del CPI, sopralluoghi, ecc. In pratica, ci sono contemporaneamente tanti responsabili di procedimento quanti sono i procedimenti in itinere.
È necessario preventivamente ricordare alcuni disposti normativi in merito.
Art. 4 co. 1 L. 241/90
Ove non sia già direttamente stabilito per legge o regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro tipo di adempimento procedurale, nonché dell’adozione del provvedimento finale.
Art. 5 L. 241/90
Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o altro dipendente addetto all’unità la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro adempimento inerente al singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale.
Fino a quando non sia effettuata l’assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell’art. 4.
L’unità organizzativa competente e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all’articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse.
Art. 6 L. 241/90
Il responsabile del procedimento:
- valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento;
- accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adatta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;
- propone l’indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all’art. 14;
- cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;
- adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione.
Nonostante l’uso della dizione generica «unità organizzativa», nella quale possono rientrare tutte le articolazioni degli enti centrali e periferici, il legislatore ha voluto dare un «volto» alla PA ed un punto di riferimento al cittadino, «personalizzando» la funzione amministrativa nel senso e secondo la logica dell’art. 97 Cost. che impone la predisposizione di un sistema di regole da cui sia possibile desumere chi, all’interno dell’organizzazione, e con quale risultato sia tenuto ad agire in una data circostanza.
Il Regolamento di attuazione della L. 241/90 per il Ministero dell’Interno, D.M. 02/02/1993 n. 284, ha individuato all’art 9 co. 2 l’«unità organizzativa» che qui ci interessa:
«Relativamente agli uffici periferici dell’Amministrazione dell’interno devono intendersi per unità organizzative responsabili dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedurale … i Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco e gli ispettorati Regionali e interregionali nei limiti delle competenze tecniche agli stessi attribuite nel singolo tipo di procedimento.»
È stato più volte osservato da parte degli uffici dirigenziali monitorati che la fase essenziale del procedimento di prevenzione incendi è l’esame tecnico e che quindi il funzionario o altro dipendente di ciò incaricato dovesse essere il referente verso l’esterno del procedimento.
In effetti, essendo possibile l’esercizio di specifica delega secondo l’art. 10 co. 1 del D.M. cit., dubbi interpretativi potrebbero sorgere quando il procedimento si scompone in varie fasi, sì da coinvolgere diversi uffici appartenenti anche alla stessa Amministrazione periferica.
Al proposito, è dapprima intervenuta una circolare del Ministero della F.P. n. 58307/7463 del 05/12/90 G.U. n. 296 del 20/12/90, secondo la quale occorre distinguere le fasi più rilevanti dell’iter procedimentale, rispetto alle quali occorre indicare gli uffici responsabili, … con la conseguenza di avere tante unità organizzative quante sono le scansioni procedurali. In sostanza in un esteso significato, si potrebbero avere in un Comando Provinciale più unità organizzative responsabili di una o più fasi del procedimento: protocollo, assegnazione, verifiche contabili, archiviazione, battitura, firma, spedizione… Ma questa soluzione non è apparsa soddisfacente.
È stato infatti poi osservato che il contenuto dell’art. 4 può generare incertezze solo in riferimento alle sequenze procedimentali che investono più interessi pubblici, quindi solo quando la cura degli stessi è attribuita ad organizzazioni diverse.
La prospettata soluzione, di frammentazione delle competenze e delle deleghe, non appare soddisfacente per un procedimento di prevenzione incendi interno al Comando, innanzitutto per il criterio di economicità, ex art. 1 L. 241/90, cui deve ispirarsi l’attività della P.A. Infatti, se è vero che detto principio esige che l’azione amministrativa deve tendere alla realizzazione ottimale dell’interesse pubblico nel minor tempo e dispendio di mezzi possibile, non si può non vedere come una moltitudine di uffici responsabili coinvolti in un unico procedimento generi una decelerazione della produttività della P.A., nonché un mancato risparmio delle sue risorse. Non a caso l’art. 10 co. 2 del D.M. 284/93 assomma nella figura del responsabile del procedimento tutti i compiti, anche solo funzionali e di servizio, inerenti il procedimento:
«Il responsabile del procedimento di cui al comma 1 esercita le attribuzioni contemplate dall’art. 6 della Legge n. 241/90 e dal presente regolamento; egli svolge altresì tutti gli altri compiti indicati nelle disposizioni organizzative e di servizio, nonché quelli attinenti all’applicazione della Legge 4 gennaio 1968 n. 15.». Ed ancora (Cons. Stato a. gen. 23/02/1995 n. 19) … «È necessario che … emerga con chiarezza l’individuazione per ogni procedimento di una sola unità organizzativa, responsabile dell’Istruttoria, di ogni altro, adempimento procedimentale e dell’adozione del provvedimento finale».
Né può giudicarsi conforme allo spirito della legge la delega al responsabile del procedimento ad un dipendente che ha poi l’unico potere dovere di esprimere solo un parere tecnico e non è messo in condizione, di gestire e governare, con la necessaria autorità e quindi con la conseguente responsabilità tutte le restanti fasi del procedimento, dall’ingresso dell’istanza ed avvio del procedimento fino alla emissione del provvedimento finale.
A dimostrazione di ciò, proviamo a farci una domanda dal punto di vista dell’utente, il quale potrebbe chiedersi con chi protestare a fronte di un ritardo nella conclusione del procedimento; chi citare in giudizio per abuso di potere od omissione; chi citare per danni patrimoniali. Il dirigente dell’unità organizzativa o il dipendente incaricato dell’espressione di un parere tecnico o l’addetto alla battitura o al protocollo? Chi emette il provvedimento finale o chi ha eseguito il sopralluogo o verificato la conformità del progetto?
È ovvio che il dipendente incaricato del sopralluogo o dell’espressione di un parere di conformità è responsabile o corresponsabile solo del merito e del tempo trascorso tra l’assegnazione della pratica e la risposta all’ufficio. Non sembra possibile che a tutti i dipendenti incaricati dell’attività di istruttoria tecnica di prevenzione incendi sia data o possa essere data l’autorità di gestire e governare la fase precedente l’assegnazione della pratica e quella successiva all’istruttoria tecnica, compreso la firma del dirigente o suo delegato e l’emissione del provvedimento.
Detto dipendente può essere invece più congruamente qualificato come istruttore «tecnico» del procedimento e come tale essere il riferimento per l’utente che abbia la necessità di consultarsi e di «partecipare al procedimento amministrativo», e come tale essere indicato tra le informazioni dovute all’utente ai sensi dell’art. 8 L. 241/90.
Ne consegue che il responsabile del procedimento potrà essere solo il dirigente della unità organizzativa, come indicato dal D.M. 284/93 o, altrimenti, ai sensi dell’art 10 co. 1 dello stesso D.M., un suo delegato, ovviamente dotato di autorità sufficiente alla gestione ed al governo di ogni fase procedimentale, fino alla adozione, ove ne abbia la competenza e la delega, del provvedimento finale ovvero (vd. Art. 5 co. 1 L. 241/90) alla trasmissione degli atti al dirigente per l’adozione [vd. art. 6 lett. e) L. 241/90].
[Sulla lettera e) dell’art. 6 merita precisare che il funzionario raramente può emettere un provvedimento – salvo espressa delega del dirigente – attesa la regola generale per cui ciò spetta esclusivamente all’Autorità di vertice dell’Amministrazione in ragione della sua competenza esterna].
Si aggiunga, poi, che l’art. 5 disegna la figura del «funzionario» responsabile del procedimento come un crocevia tra le esigenze della P.A. e le istanze della collettività: infatti, se da un lato egli deve perseguire l’interesse pubblico attraverso criteri di economicità ed efficienza, dall’altra parte ha l’obbligo, per il principio della trasparenza ed a mezzo delle comunicazioni di cui all’art. 5 co. 3, di agevolare il contatto tra l’Amministrazione ed i cittadini, sì da permettere a quest’ultimi di conoscere sempre l’identità dei referenti cui rivolgersi.
Atteso, quindi, il ruolo propulsivo e tutorio rivestito dal funzionario nei confronti dell’attività amministrativa, è facile comprendere il motivo per il quale la L. 241/90 gli abbia attribuito una rilevante summa di poteri di direzione e di organizzazione del procedimento. Questi poteri possono essere esercitati dal responsabile anche nei confronti dei dipendenti che sono inseriti in altre unità organizzative coinvolte nell’iter. Se così è, questo responsabile non può che essere unico ed essere oggetto di ampia e mirata autorità o delega.
Né, sulla base di dette considerazioni, se questi non assomma le peculiarità descritte, può apparire giustificata l’osservazione, da parte di alcuni uffici monitorati, che per ciascun procedimento il responsabile è «comunque» unico.
Sulla scia dell’art.4 della L. 241/90, il legislatore nell’attribuire ad un soggetto predeterminato la gestione del procedimento, esprime chiaramente la volontà di scongiurare la polverizzazione della responsabilità amministrativa. (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 30/09/1993 n. 11: è fatto obbligo alla P.A. «di individuare il responsabile del procedimento cui imputare l’esatta scansione dei momenti procedurali e, al limite, le conseguenze di eventuali ritardi od omissioni)».
A conferma di ciò e quindi della necessità di evitare la polverizzazione dell’azione amministrativa, anche laddove la sequenza procedimentale necessiti dell’intervento di più Amministrazioni, è giocoforza ammettere che una deve essere l’unità organizzativa competente e quindi il responsabile del procedimento, con fa sola eccezione di quei procedimenti che richiedano l’esercizio di competenze di organi la cui autonomia non può essere assorbita nelle competenze di altri enti.
Le facoltà attribuite al responsabile del procedimento non si esauriscono in quelle formulate nell’elenco di cui all’art. 6.
Infatti, l’art. 16 dispone che laddove in pendenza di un iter procedimentale sia obbligatorio acquisire un parere da parte di un organo consultivo e quest’ultimo non vi provvede nel termine stabilito, il funzionario può continuare la sua attività indipendentemente dal parere in esame, accertando che i dati in suo possesso siano necessari e sufficienti per la conduzione del procedimento; dunque, motivando la sua scelta, può fare a meno del giudizio in parola.
Ed ancora l’art. 17 esamina l’ipotesi parallela in cui l’adozione del provvedimento dipende da valutazioni tecniche promananti da enti specializzati. Se questi sono in ritardo, il responsabile del procedimento non può proseguire la sua attività, ma deve necessariamente rivolgersi ad altri organi parimenti qualificati al fine di ottenere le indispensabili valutazioni.
Quanto alla individuazione della persona addetta al procedimento, il legislatore stabilisce che spetta al dirigente di ogni unità affidare a sé o ad altro dipendente il compimento delle operazioni relative al procedimento stesso (art 5 co. 1); in mancanza di tale assegnazione si considera responsabile dell’iter il «funzionario» preposto all’ufficio (art 5 co. 2).
Le dizioni «dirigente» e «funzionario» potrebbero portare a dubbi interpretativi. L’apparente promiscuità può essere superata ricordando che l’art. 5 non rimanda al D.P.R. 748/72 e s.m.i. istitutivo delle carriere dirigenziali, né alla Legge n. 312/80 e s.m.i. in tema di determinazione dello status retributivo-funzionale del personale e nemmeno, infine, ai contratti collettivi di lavoro.
Ne discende che è responsabile del procedimento il soggetto preposto all’unità organizzativa, il quale provvede concretamente allo svolgimento dell’iter, indipendentemente dalla titolarità dell’ufficio e dalla qualifica dirigenziale eventualmente rivestita.
Si osserva che quanto premesso non fornisce, però, sufficienti indicazioni riguardo l’ipotesi di sopravvenuta assenza o impedimento del funzionario.
Parte della dottrina giurisprudenziale afferma che la responsabilità del procedimento rimane in capo al dirigente dell’unità organizzativa finché non viene attribuita ad altro dipendente. Nell’ipotesi in cui quest’ultimo sia assente la conduzione dell’istruttoria tornerebbe nell’alveo delle competenze del soggetto preposto all’ufficio, oppure potrebbe essere da lui affidata ad un impiegato diverso.
Ma, se da una parte può ben dirsi che la responsabilità dell’alveo di pertinenza del dirigente fino a diversa assegnazione, da altro lato è difficile ammettere che il legislatore del ’90 disponga una sorta di sostituzione «boomerang», in virtù della quale il soggetto preposto all’ufficio risulta di nuovo investito di quel procedimento, la cui competenza aveva precedentemente dimesso a favore del dipendente assente.
Inoltre, così come l’art. 5 prescinde dalla eventuale titolarità dell’unità operativa in capo al responsabile, allo stesso modo il supplente, di regola, subentra nelle mansioni dell’assente senza la responsabilità dell’ufficio cui perviene: di qui, allora, la possibilità di ammettere un vicario anche per il funzionario addetto al procedimento.
Va ricordato che la razionalizzazione dell’attività amministrativa operata dalla L. n. 241/90 ha completamente trascurato il regime di responsabilità del «funzionario» per violazione dei doveri di sua competenza.
Si deve quindi pensare che il legislatore ha voluto soltanto ribadire l’operatività della disciplina preesistente in tema di inadempimento delle obbligazioni di cui al pubblico impiego.
A questo proposito è d’uopo rammentare, innanzitutto, che la violazione dell’art. 6 L. n. 241/90 comporta per il funzionario la responsabilità disciplinare. Quest’ultima può essere attivata dall’Amministrazione ogni qualvolta il comportamento trasgressivo produce un disservizio per mancato adempimento di uno degli atti del procedimento, oppure quando tale inerzia è fonte di nocumento per l’immagine dell’ente.
Se, invece, il compimento di un atto illecito si traduce in un danno patrimoniale nei confronti dei terzi, si parla di responsabilità civile. In merito giova osservare che mentre l’art. 28 co. 1 Cost. fissa la regola della responsabilità diretta dell’impiegato, gli art. 28 co. 2 Cost. e 2049 c.c., nonché il principio di immedesimazione organica fra l’ente ed il dipendente, per altro verso, stabiliscono che l’Amministrazione risponde in solido dell’illecito compiuto dal funzionario per colpa lieve. È sempre utile a tale proposito ricordare la possibile corresponsabilità diretta del dirigente per culpa in eligendi e per culpa in vigilandi.
Al contrario, laddove il fatto trasgressivo si è verificato per dolo, colpa grave o finalità meramente egoistiche, il relativo danno è direttamente a carico dell’agente pubblico.
Si aggiunge che, poiché «ove il Comando non si esprima nei termini prescritti, il progetto si intende respinto» (art. 2 co. 2 D.P.R. n. 37/98), l’omessa espressione del parere di conformità ex art.2 del D.P.R. n. 37/98 nei prescritti termini temporali di conclusione dei procedimenti, costituisce silenzio-rifiuto. L’istituto del silenzio rifiuto, lungi da essere prevaricatorio nei confronti dell’utente, ha invece lo scopo di qualificare il comportamento omissivo della PA, rendendo subito possibile il ricorso al giudice amministrativo per far dichiarare illegittimo tale comportamento omissivo e per dare luogo alla richiesta di risarcimento del danno eventualmente patito.
È opportuno sottolineare che in ogni caso il procedimento amministrativo deve essere concluso anche fuori dal termine stabilito, quale «dovere» della P.A. (art. 2 L. n. 241/90). Si richiama al proposito il contenuto della Circolare M.l. n. 9 del 05/05/98 prot. 796/4101 sott. 72/E e la sentenza del Consiglio di Stato n. 1331/1997.
Quanto infine alla responsabilità penale, particolare attenzione deve essere rivolta al rapporto tra l’art. 328 c.p. (come modificato dalla L. 26/04/1990 n. 86) e l’art. 2 L. n. 241/90.
In particolare, l’art. 328 c.p. prevede due ipotesi criminose: la prima in tema di rifiuto arbitrario da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio di atti indilazionabili attinenti la sanità, la sicurezza pubblica e la giustizia; l’altra relativa al comportamento omissivo di quei medesimi soggetti che, entro 30 giorni dalla richiesta dell’interessato, non compiono l’atto del loro ufficio, né rispondono per chiarire i motivi del ritardo.
Uno scrupoloso esame della norma induce a sostenere che mentre il rifiuto da parte del funzionario di atti che «devono essere compiuti senza ritardo» comporta l’esistenza del reato di cui all’art. 328 co. 1 c.p., diversa sarebbe la conclusione in caso di omissione di provvedimento, per scadenza del termine di cui all’art. 2 L. n. 241/90.
L’art. 328 co. 2 c.p. si applicherebbe in caso di violazione dell’art. 2 co. 3 L 241/90, ma solo quando il funzionario responsabile non fornisce nei 30 giorni dalla sollecita istanza scritta dell’interessato (art. 328 co. 2 c.p.) una risposta giustificativa della mancata emissione del provvedimento finale.
Ciò, in contrasto con i principi della L. 241/90, porta ad affermare che la scadenza del termine di cui all’art. 2 non è perentorio, ma ordinatorio, avendo una portata di semplice incremento della tempestività dell’azione amministrativa. Inoltre, va osservato che solo se il cittadino si attiva contro l’inerzia della PA può far sì che il «funzionario», attraverso il meccanismo della messa in mora, eventualmente risponda per omissione di un atto di ufficio. In questo modo si lascia al privato non solo l’onere di stimolare l’applicazione della legge penale, ma anche il compito di assicurare il rispetto del principio del buon andamento dell’Amministrazione.
Si riportano di seguito alcuni disposti normativi in merito.
Art. 328 c.p. – Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione
1. Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di Igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
2. Fuori dei casi previsti dal primo comma il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie fatto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a L. 2 milioni. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.
Art. 329 c.p. – Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica
1. Il militare o l’agente delia forza pubblica, il quale rifiuta o ritarda indebitamente di eseguire una richiesta fattagli dall’Autorità competente nelle forme stabilite dalla legge, è punito con fa reclusione fino a due anni.
Art. 357 c.p. – Nozione del pubblico ufficiale
1. Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
2. Agli stessi effetti è pubblica la funzione di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione è dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
Art. 358 cp. – Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio
1. Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione delio svolgimento di semplici mansioni di ordine e deità prestazione di opera meramente materiale.
B) mancata «comunicazione dell’avvio del procedimento»
B – L’art 7 della L. 241/90 recita:
«Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’art. 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti ed a quelli che per legge devono intervenirvi. … omissis».
La portata innovativa delle norme contenute nel capo III della L. 241/90 consiste nell’aver posto come regola generale il principio della partecipazione al procedimento amministrativo dei soggetti interessati al contenuto del provvedimento finale.
Il generico criterio di pubblicità cui deve essere improntata l’azione amministrativa, ai sensi dell’art. 1 della L. 241/90, trova una fondamentale attuazione proprio nella comunicazione prevista dall’art. 7, che consente una tempestiva prospettazione nell’attività discrezionale dell’Amministrazione degli interessi privati coinvolti, in funzione di una loro composizione con l’interesse pubblico dominante.
La previsione generalizzata di un contraddittorio anticipato alla fase procedimentale, posta dal legislatore quale regola inderogabile di legittimità dell’azione amministrativa, comporta che l’omissione della relativa comunicazione ai soggetti contemplati dall’art. 7, configuri il vizio di violazione di legge, che si trasmette con effetti invalidanti sul provvedimento finale.
Inoltre, (Cons. Stato, sez. VI, 03 maggio 2002, n. 2362 e sez. IV, 16 giugno 2001, n. 3169) la violazione del citato art. 7, per omessa comunicazione dell’avvio procedimentale, rileva anche sotto il profilo civilistico, essendo stata ritenuta un’inosservanza grave, «in quanto la norma concerne un presidio minimo di garanzia partecipativa e richiede uno sforzo minimo all’Amministrazione. … omissis … A tal fine, non rileva l’originario atto d’impulso dell’utente, né la conoscenza ope legis delle tesi procedimentali, stante l’espressa previsione di far conoscere all’interessato gli elementi previsti dall’art. 8 L. n. 241/90, non tutti necessariamente noti al richiedente al momento della presentazione della domanda…»
Invece, l’instaurazione nel procedimento di un contraddittorio degli opposti interessi rilevanti, insieme all’obbligo di motivazione del provvedimento, nonché al possibile accesso agli atti endoprocedimentali, si pone quale presupposto indispensabile di correttezza e legittimità dell’azione amministrativa, in attuazione del principio di imparzialità enunciato dalla Costituzione.
La garanzia rappresentata dall’art. 7 riguarda tutti i procedimenti posti in essere dalla PA, indipendentemente dalla loro complessità e dal fatto che possa derivarne un atto favorevole al soggetto interessato, con l’esclusione giurisprudenziale di quelli volti alla emanazione di provvedimenti repressivi conseguenti necessariamente all’accertata infrazione di disposizioni imperative.
Una diversa considerazione merita invece il procedimento ex art 4 del D.P.R. 37/98 di rinnovo del Certificato di Prevenzione Incendi, specie per quelle attività semplici per le quali l’istanza di rinnovo non richiede l’accompagnamento di una perizia giurata. Nonostante anche per i provvedimenti «vincolati» si prospetti l’opportunità dello svolgimento di una fase istruttoria, completa ed adeguata, la giurisprudenza amministrativa ha generalmente escluso l’obbligatorietà della preventiva comunicazione ogni qualvolta gli adempimenti diretti alla instaurazione di un contraddittorio rivestano una valenza esclusivamente formale ed appaiano pertanto superflui, come nel caso in cui essendo un provvedimento dovuto e vincolato non residui alcun margine di discrezionalità alla autorità procedente.
A tale proposito, anche l’ipotesi derogatoria prevista dal 1° comma dell’art. 7 che esclude l’obbligo della comunicazione qualora «sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità, del procedimento», può trovare motivazione nei tempi limitati di conclusione del procedimento, 15 giorni, prevalentemente assorbiti dai tempi tecnici, pure minimi, delle diverse fasi, procedimentali.
In tal caso, l’omissione della preventiva comunicazione dovrà trovare giustificazione nella parte motivante del provvedimento, con ciò escludendo la possibilità per il giudice della legittimità di sindacare le ragioni che hanno di fatto ostacolato la comunicazione.
L’art 8 della L. 241/90 recita:
«L’Amministrazione provvede a dare notizia dell’avvio del procedimento mediante comunicazione personale. Nella comunicazione debbono essere indicati:
a. l’amministrazione competente,
b. l’oggetto del procedimento promosso;
c. l’ufficio e la persona responsabile del procedimento;
d. l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti.
Omissis»
La regola applicabile alla comunicazione di avvio del procedimento non è quella della libertà assoluta delle forme, bensì quella della forma scritta documentabile in atti, con esclusione, per esigenze probatorie, di comunicazioni verbali, dirette o telefoniche.
L’avviso di avvio del procedimento, da non confondere con la ricevuta di presentazione della domanda ex art. 3 co. 3 D.M. 284/93, deve precedere l’instaurazione di un qualunque procedimento, anche nelle sue articolazioni subprocedimentali (completezza della domanda, legittimità della firma, versamento, … da risolvere preferibilmente allo sportello), che possono comunque dar vita ad un contenzioso autonomo e per tale ragione presentano peculiari esigenze partecipative. Una semplificazione del procedimento, purtroppo non sempre fattibile per le variabili determinate dai criteri di assegnazione dei diversi procedimenti, sarebbe costituita dalla possibilità, per le istanze presentate allo sportello, di far coincidere in un unico atto sia la ricevuta, sia la comunicazione di avvio del procedimento, fatto salve le verifiche sopra rammentate.
L’elenco, di cui al 2° comma dell’art.8, tende ad individuare un numero minimo di dati che assicuri la congruità e sufficienza dell’informazione resa dall’Amministrazione, integrabile comunque con l’inserimento di altri elementi aggiuntivi rispetto a quelli prescritti: ad es. il dipendente incaricato della istruttoria tecnica del procedimento.
L’omissione della comunicazione può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse essa è stata prevista (art. 8 co. 4).
Allo scopo di prevenire il contenzioso giurisdizionale, i regolamenti attuativi della L. 241/90 adottati dalle amministrazioni statali stabiliscono che l’omissione, il ritardo o l’incompletezza della comunicazione possa essere fatta valere, anche nel corso del procedimento, solo dai soggetti che abbiano titolo alla comunicazione medesima, mediante segnalazione scritta al dirigente preposto alla unità organizzativa competente, il quale è tenuto a fornire gli opportuni chiarimenti o ad adottare le misure necessarie entro dieci giorni (art. 4 co. 3 D.M. 284/93).
Abbiamo sottolineato che l’omessa comunicazione di avvio del procedimento conduce in ogni caso all’annullamento dell’atto adottato a conclusione dello stesso per violazione di legge.
È ormai invece, giurisprudenza consolidata che l’omessa comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento non è causa di illegittimità dell’atto conclusivo del medesimo, posto che in difetto di una precisa designazione, il responsabile è agevolmente identificabile nel dirigente dell’unità organizzativa procedente. La stessa omissione rileva unicamente in termini di responsabilità disciplinare dell’agente che ha omesso la relativa comunicazione.
Ulteriori carenze rilevate nell’attività di monitoraggio sono state le seguenti:
c) Avvio dell’attività istruttoria in assenza del «versamento»;
d) Adozione del provvedimento finale da parte del funzionario istruttore e firma della sola lettera di trasmissione da parte del dirigente.
C) Avvio dell’attività istruttoria in assenza del «versamento» (NdR)
Per la prima è d’obbligo richiamare, senza necessità di commento, l’art. 6 co. 3 della L. n. 966/65 «l’esecuzione del servizio è subordinato all’avvenuto versamento del deposito provvisorio da parte del richiedente…» e quindi l’art. 1 co. 2 lett. b) del D.M. 04 maggio 1998 ed ancora il parere del Consiglio di Stato, I sez., 12 gennaio 1979 «…ne segue che essa (la domanda) non solo deve essere accompagnata – il che è ovvio – dalla quietanza di un versamento di un deposito provvisorio … ma anche…: Senza di che la domanda non può giudicarsi idonea al fine assegnatogli dalla legge … e va ritenuta, in difetto, ‘tamquam non esset’ …»
Né, nel caso di pareri di conformità, può procedersi sistematicamente, prima dell’avvenuto versamento e della presentazione della domanda, all’esame compiuto e definitivo del progetto e quindi ad una sorta di nulla osta alla presentazione della domanda e del versamento.
Il confronto con l’utente, previsto dal legislatore quando all’art. 18 co. 3 del D.P.R. n. 577/82 dice che «nella fase preliminare di progettazione i Comandi… potranno valutare le proposte dei professionisti e degli operatori privati…», ha carattere solo formale e non può condizionare l’Ufficio che poi dovrà emanare pareri ed effettuare controlli. Tale procedura, se pure riduce fittiziamente i tempi di conclusione del procedimento, impedirà di fatto l’osservanza dei disposti normativi appena commentati della L. n. 241/90 e porrà a rischio la riscossione del servizio a pagamento, poiché, in pratica, buona parte dello stesso sarà stato fatto «a credito», con conseguente possibile danno all’erario.
D) Adozione del provvedimento finale da parte del funzionario istruttore (NdR)
Per la seconda, nell’osservare che l’atto esterno è il provvedimento e non la nota di trasmissione, si rimanda a quanto riportato nella prima parte della presente ed alla nota di questo Dipartimento prot. n. P48/4101 sott 72/C.2 dell’11 gennaio 2001.
Allegasi il testo del D.M. 02/02/1993 n. 284 (stralcio).
D.M. 2 febbraio 1993, N. 284
Regolamento di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardanti i termini di completamento ed i responsabili dei procedimenti imputati alla competenza degli organi dell’amministrazione centrale e periferica dell’interno.
Art. 1. Ambito di applicazione
- Il presente regolamento si applica ai procedimenti amministrativi, ove non siano già disciplinati dalla legge, attribuiti alla competenza degli organi dell’Amministrazione centrale e periferica dell’interno che conseguano obbligatoriamente ad iniziativa di parte ovvero debbano essere promossi d’ufficio.
Art. 3. Decorrenza del termine iniziale per i procedimenti ad iniziativa di parte
- All’atto della presentazione della domanda è rilasciata all’interessato una ricevuta, contenente, ove possibile, le indicazioni di cui all’art. 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Le dette indicazioni sono comunque fornite all’atto della comunicazione dell’avviso del procedimento di cui all’art. 7 della citata legge n. 241 ed all’art. 4 del presente regolamento. Per le domande o istanze inviate a mezzo del servizio postale, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, la ricevuta è costituita dall’avviso stesso.
Art. 4. Comunicazione dell’inizio del procedimento
- Salvo che non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità, il responsabile del procedimento dà comunicazione dell’inizio del procedimento stesso ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti, ai soggetti la cui partecipazione al procedimento sia prevista da legge o regolamento nonché ai soggetti, individuati o facilmente individuabili, cui dal provvedimento possa derivare un pregiudizio.
- I soggetti di cui al primo comma sono resi edotti dell’avvio del procedimento mediante comunicazione personale, contenente, ove già non rese note ai sensi dell’art. 3, terzo comma, le indicazioni di cui all’art. 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Qualora, per il numero degli aventi titolo, la comunicazione personale risulti, per tutti o per taluni di essi, impossibile o particolarmente gravosa nonché nei casi in cui vi siano particolari esigenze di celerità, il responsabile del procedimento procede ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241, mediante forme di pubblicità da attuarsi con l’affissione e la pubblicazione di apposito atto, indicante le ragioni che giustificano la deroga, rispettivamente nell’albo dell’amministrazione o nel Bollettino Ufficiale del Ministero.
- L’omissione, il ritardo o l’incompletezza della comunicazione può essere fatta valere, anche nel corso del procedimento, solo dai soggetti che abbiano titolo alla comunicazione medesima, mediante segnalazione scritta al dirigente preposto all’unità organizzativa competente, il quale è tenuto a fornire gli opportuni chiarimenti o ad adottare le misure necessarie, anche ai fini dei termini posti per l’intervento del privato nel procedimento, nel termine di dieci giorni.
- Resta fermo quanto stabilito dal precedente art. 3 in ordine alla decorrenza del termine iniziale del procedimento.
Art. 9. Unità organizzative responsabili della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale
- Relativamente agli uffici centrali dell’amministrazione dell’interno deve intendersi per unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale la divisione, per la trattazione degli affari di competenza del Dipartimento della pubblica sicurezza e delle Direzioni generali in conformità al decreto interministeriale 16 ottobre 1984 e successive modifiche e integrazioni e al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 settembre 1985 e successive modifiche, nonché, il servizio sanitario, gli ispettorati, le ripartizioni ed i laboratori per la trattazione degli affari di competenza dei servizi della Direzione generale della protezione civile e dei servizi antincendi di cui alla tabella G del D.M. 2 agosto 1973 così come modificata dal D.M. 17 luglio 1982.
- Relativamente agli uffici periferici dell’amministrazione dell’interno devono intendersi per unità organizzative responsabili dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale i settori e l’ufficio di gabinetto del Prefetto per la trattazione degli affari indicati dall’art. 7 del D.P.R. 24 aprile 1982, n. 340, le divisioni e gli uffici per la trattazione degli affari indicati dal D.M. 16 marzo 1989 relativo alla organizzazione delle questure e dei commissariati di pubblica sicurezza, i comandi provinciali dei vigili del fuoco e gli ispettorati regionali e interregionali nei limiti delle competenze tecniche agli stessi attribuite nel singolo tipo di procedimento.
Art. 10. Responsabile del procedimento
- Il responsabile dell’unità organizzativa di cui al precedente art. 9 può affidare ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento.
- Il responsabile del procedimento di cui al primo comma esercita le attribuzioni contemplate dall’art. 6 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e dal presente regolamento; egli svolge altresì tutti gli altri compiti indicati nelle disposizioni organizzative e di servizio nonché quelle attinenti all’applicazione della legge 4 gennaio 1968, n. 15.
Art. 11. Unità organizzative responsabili dell’adozione del provvedimento finale
- Ai fini dell’individuazione del responsabile dell’adozione del provvedimento finale, per gli uffici centrali dell’amministrazione dell’interno si rinvia alle vigenti disposizioni legislative che disciplinano la competenza a provvedere, ivi comprese le norme che regolano l’ordinamento speciale dell’amministrazione dell’interno e quelle recate dal D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748.
- Agli stessi fini, per quanto riguarda gli uffici periferici dell’amministrazione dell’interno sono da considerare responsabili dell’adozione del provvedimento finale i Prefetti, i questori ed i rispettivi vicari, i comandanti provinciali dei vigili del fuoco, i dirigenti dei commissariati di pubblica sicurezza per l’adozione degli atti di propria competenza, nonché i dirigenti dei settori, delle divisioni e degli uffici per l’adozione degli atti loro riservati per legge o delegati con formale disposizione di servizio.