Il problema degli incendi boschivi in Italia suscita ormai da qualche anno un
interesse non più limitato ai soli addetti ai lavori. La crescita della sensibilità collettiva ai problemi della tutela naturalistica, l’attenzione dei mezzi di informazione, la portata dei
danni economici arrecati dal fenomeno, hanno contribuito sensibilmente ad aumentare le
forze impegnate, soprattutto d’estate, a ridurre la frequenza e l’estensione degli incendi boschivi.
Se fino a pochi anni fa il compito di tamponare l’emergenza era affidato esclusivamente alle esigue forze del CFS e dei VVFF, costretti ad operare in condizioni di estremo disagio e con mezzi insufficienti, oggi esistono strutture operative che dirigono gli interventi su scala nazionale, coordinando tra loro, oltre ai corpi già citati, i mezzi della Protezione Civile, dell’Esercito, degli Enti Locali e del volontariato.
Tuttavia i dati offerti dall’esperienza tecnico-scientifica, mostrano con estrema determinazione come il danno arrecato dagli IB sia proporzionale al tempo intercorso tra l’inizio del focolaio e gli interventi di spegnimento.
Si dimostra, perciò, più efficace una presenza diffusa sui territori a rischio di presidi antincendio, che non un massiccio uso di mezzi che non sia in grado di intervenire in tempo utile sul fuoco.
Gli alti costi e la limitata disponibilità dei mezzi aerei, impongono, inoltre, una discriminazione degli interventi da effettuare, che può essere garantita esclusivamente da
personale specializzato che fornisca da terra dati precisi sull’intensità e la portata del fenomeno da affrontare.
L’attività di un presidio AIB può inoltre sviluppare un sistema integrato di prevenzione, controllo e repressione, con particolare riguardo ai fenomeni dolosi che rappresentano la maggior parte della casistica, svolgendo inoltre iniziative di sensibilizzazione delle popolazioni locali sui rischi da evitare .
Appare tuttavia improponibile realizzare una struttura capillare di questo tipo basandola sui Corpi professionali.
E questo per i seguenti motivi:
1- Nella maggior parte delle regioni italiane il periodo di rischio varia dai 2 ai 3 mesi;
2- Sarebbe troppo costoso mantenere un organico specializzato tutto l’anno per utilizzarlo appieno in un periodo così limitato;
3- E’ estremamente difficile controllare e dirigere piccole unità isolate, soprattutto in zone di difficile accesso, senza un contatto continuativo con le popolazioni locali.
In base a tali considerazioni è convinzione diffusa che l’unica scelta praticabile sia la costituzione di presidi volontari, sostenuti da un contributo pubblico commisurato all’efficienza del servizio svolto, con attività limitata ai periodi di rischio e coordinata dal Corpo Forestale. Così facendo si otterrà, a costi contenuti per la comunità, una rete territoriale di controllo che integri e alleggerisca il lavoro dei corpi istituzionalmente preposti.
Questi stessi criteri sono stati assunti dai Piani Triennali di lotta agli incendi boschivi elaborati dalla Regione Lazio e dalla Legge Regionale di Protezione Civile che affida al volontariato gli interventi di I livello sugli eventi calamitosi.
Tuttavia gli interventi di sostegno al volontariato da parte delle pubbliche amministrazioni non sempre hanno raggiunto la dovuta consequenzialità ai termini legislativi, e, quindi, se il quadro d’insieme del volontariato dimostra un potenziale positivo, i risultati ottenuti non lasciano spazio ad eccessivo ottimismo.
E nella fase attuale, con un patrimonio boschivo in rapida involuzione quantitativo – qualitativa, è indispensabile che gli Enti Locali forniscano alle associazioni del volontariato il sostegno adeguato alle mansioni che sono chiamate a svolgere, migliorando il loro impegno incrementandone, innanzitutto, la preparazione che la lotta AIB richiede . Questo manuale intende, quindi e soprattutto, rivolgersi al volontariato fornendogli i suggerimenti e le indicazioni che ci hanno aiutati, nel corso degli ultimi anni, a far fronte alle difficoltà piccole e grandi che si incontrano nel duro lavoro contro gli incendi boschivi.
CAUSE PRINICIPALI DI INCENDIO BOSCHIVO
Perchè un incendio si sviluppi sono sempre necessari gli elementi che costituiscono il cosiddetto “triangolo del fuoco”, cioé il combustibile (paglia, egno, etc.), il comburente (l’ossigeno) e la temperatura di combustione.
Mentre i primi due elementi sono sempre disponibili, la temperatura necessaria all’accensione é presente solo in determinate condizioni.
Se in climi equatoriali la decomposizione della sostanza organica ad opera degli enzimi sviluppa molto spesso il potenziale calorifico sufficiente per l’autocombustione (e ciò rappresenta un importante fattore di regolazione dei sistemi forestali) alle nostre latitudini la possibilità di un simile evento non esiste.
Le cause naturali di incendio possono essere attribuite o alla concentrazione di raggi solari attraverso una goccia di resina o di rugiada (evento quanto mai improbabile e mai verificato direttamente) o all’accensione provocata da fulmini in assenza di pioggia (fenomeno non raro che, comunque, non sembra essere causa rilevante di danni).
Tutti gli altri fenomeni vanno attribuiti direttamente all’uomo, dividendo la casistica in episodi accidentali, colposi e dolosi.
CAUSE ACCIDENTALI
Un corto circuito, un motore che si surriscalda, le scintille di strumenti da lavoro, possono alle volte costituire l’inizio di un focolaio. Gli incendi così causati vengono definiti accidentali.
CAUSE COLPOSE
La più frequente é la cicca o il cerino gettati dalle auto (nelle strade a grande scorrimento lo spostamento d’aria creato dalle vetture può alimentare le fiamme), ma anche i focolai da pic-nic lasciati incustoditi possono innescare pericolosi incendi.
Più grave il problema delle discariche abusive, tollerate dalle amministrazioni locali, alle quali qualcuno dà quasi sempre fuoco, magari per ridurne il fetore.
Ancora più frequente e con conseguenze estremamente pericolose, é l’abitudine di eliminare le erbe infestanti appiccandovi intenzionalmente fuoco. Tale pratica, da scoraggiare severamente, confina con il dolo, anche se applicata ingenuamente talvolta anche da personale istituzionalmente preposto alla pulizia di strade o verde pubblico.
CAUSE DOLOSE
Come nel caso della “ripulitura” con il fuoco appena trattata, anche l’abitudine di bruciare le stoppie residue dei raccolti di graminacee, rientra in una categoria che é difficile da classificare come colposa o dolosa.
Il fuoco viene appiccato con intenzionalità, ma l’obiettivo della distruzione non é quello di distruggere il bosco. Tuttavia, essendo quasi conseguente la propagazione delle fiamme ai dei complessi boscati confinanti con i coltivi incendiati, viene da pensare che talvolta vi sia l’intenzione di guadagnare terreno coltivabile. Una anacronistica riproposizione della pratica del debbio comune alle civiltà agricole primitive.
L’incendio delle stoppie é, in alcune regioni, la causa principale di incendio boschivo, e seppure vietata, rappresenta una pratica assai difficile da eliminare. Il sistema che sembra aver dato i migliori risultati é quello di un controllo preventivo accurato e costante, con punizioni esemplari per i trasgressori, unitamente ad una campagna di
informazione, specialmente fra gli agricoltori più giovani, in cui si spieghi come il fuoco possa essere la causa principale del depauperamento dell’humus e del degrado
idrogeologico delle superfici coltivabili.
La pratica di togliere lo spazio al bosco per tramutarlo in pascolo é tipica di certe forme di pastorizia.
Inoltre in parecchie regioni c’é l’uso consolidato di bruciare il fieno seccatosi durante l’estate per favorirne la ricrescita alle prime piogge. Tale pratica, seppure non così frequente come quella di bruciare le stoppie, é tuttavia quella che provoca maggiori danni al patrimonio boschivo. Mentre il contadino brucia le stoppie il più delle volte prendendo elementari precauzioni che salvaguardino quantomeno la propria casa e le coltivazioni ortofrutticole che la circondano, il pastore sceglie le condizioni metereologiche (vento forte, siccità estrema, pendenza del terreno), che rendano l’incendio il più distruttivo possibile. Purtroppo in tali casi, vuoi per le abitudini culturali connesse alla pastorizia, vuoi per l’inaccessibilità dei luoghi colpiti, vuoi per i metodi
che vengono usati, é estremamente difficile prevenire e reprimere tale fenomeno. Per ridurre i rischi derivanti da tale pratica può essere utile capire preventivamente quali saranno le aree colpite e mettere in atto opere difensive nei confronti della vegetazione arborea circostante (ad esempio creazione di sterrati, ripulitura delle fasce perimetrali, etc.)
Un fenomeno accertato in zone ricche di selvaggina (soprattutto Ungulati come Cinghiali, Daini e Caprioli) é l’incendio di zone boscose e cespugliose per provocare lo spostamento della fauna in zone più propizie alla sua cattura. il danno che tale atto comporta alla biocenosi é talmente grave che solo pochi spregiudicati bracconieri ancora lo praticano.
A parte gli incendi appiccati per vendetta, ormai limitati alle zone più marginali ed arretrate del nostro Paese, altri incendi per pura soddisfazione emotiva vengono appiccati dai piromani. Senza entrare nella casistica psichiatrica e nelle interpretazioni psicodinamiche di tale fenomeno, è un dato palese che esso viene sempre causato da
individui con equilibrio psichico assai precario, e che sono quindi facilmente individuabili (anche per l’ossessività ripetitiva dei particolari) e per questo riportabili alla ragione senza ricorrere a misure estreme, che possono essere comunque paventate al colpevole una volta individuato.
Per ultima citeremo la causa che forse ha causato più danni al patrimonio boschivo italiano negli anni ’50 e ’60.
Ci riferiamo alle distruzioni dei boschi con intenti speculativi in campo edilizio. Per prevenire tale crimine dal 1975 una legge pone sui terreni percorsi dal fuoco il vincolo di assoluta inedificabilità sino alla naturale ricostituzione del manto boscato, anche in presenza di varianti che modifichino la destinazione d’uso dei fondi colpiti. Ciò
dovrebbe far decadere ogni interesse per lo speculatore scoraggiandone gli intenti, ma, purtroppo, in Provincia di Roma (come in gran parte del nostro Paese), non esiste alcuna
mappatura dei terreni percorsi dal fuoco ed è, pertanto, assai difficile imporre i vincoli.
LE PRINCIPALI FITOCENOSI DEL LAZIO
La prevenzione e la lotta contro gli incendi boschivi è parte integrante di un progetto più ampio di tutela e risanamento dell’ambiente naturale. L’operatore AIB deve, pertanto, conoscere con sufficiente approssimazione il tipo di vegetazione che dovrà difendere dalla distruzione ad opera del fuoco. E’abbastanza ovvio che l’incendio di una foresta di alberi centenari causa un danno ambientale decisamente più grave di quello in una sterpaglia o in una macchia di rovi. Molto spesso, tuttavia, l’operatore poco preparato
può selezionare in maniera errata la scelta dell’intervento: impressionato, ad esempio, dall’ampiezza e dalla vivacità di un incendio di stoppie può impiegare gran parte delle
sue energie e dei suoi mezzi contro di esso, omettendo di salvare piccole formazioni
boscate o cespugliate di grande valore ecologico. Raccomandiamo, pertanto di porre estrema attenzione alle pagine che seguono, ove verranno descritte le più importanti
associazioni vegetali (fitocenosi) del Lazio. Nella sezione successiva si cercherà di
definire i parametri di rischio e difficoltà di spegnimento delle fitocenosi descritte di seguito, permettendo, in tal modo, di consentire all’operatore AIB una più elevata discriminazione delle priorità di allarme e intervento. In questa descrizione seguiremo un andamento geoclimatico che parte dalla costa e raggiunge i rilievi montuosi, soffermandoci sulle fitocenosi con caratteristiche la cui conoscenza è più necessaria all’operatore AIB.
MACCHIA PRIMARIA SEMPREVERDE
Dove finisce la duna sabbiosa litoranea, dietro le formazioni di Ginepro ( Juniperus oxicedrum macrocarpa), laddove l’ambiente non ha subito grosse offese da parte dell’uomo, inizia il bosco di Pino marittimo ( Pinus pinaster). E’una conifera che non raggiunge grandi altezze sotto la quale si sviluppa la tipica vegetazione mediterranea sempreverde a Lentisco ( Pistacia lentiscus), Mirto (Myrtus communis), Cisto ( Cistus
sp.), Corbezzolo (Arbutus unedo), Erica (Erica arborea) Quercia spinosa ( Quercus coccifera)
Fillirea (Phyllirea variabilis), Alaterno (Rhamnus alaternus), Rosmarino (Rosmarinus officinalis),il Tino (Viburnus tinus), e alcune ginestre (Cytisus sp.) (Spartium junceum),essenze ricche di resine e con foglie piuttosto dure (sclerofille) adatte a contenere la perdita d’acqua in un clima e un suolo molto aridi. Per resistere alla condizione siccitosa viene eliminato il ricambio autunnale delle foglie e le piante vengono perciò dette sempreverdi.
Proseguendo verso l’interno il Pino marittimo viene sostituito dal Leccio (Quercus ilex), e dal Pino domestico (Pinus pinea). Quest’ ultimo, importato in Epoca romana, costituisce importanti complessi forestali, fra i quali Castelfusano, Castelporziano e Fregene. La Macchia primaria sempreverde difficilmente si presenta nella nostra Regione nella sua forma originaria. A parte il bosco di Castelporziano e alcuni tratti del Parco del Circeo, gli agenti antropici (principalmente la cementificazione delle coste e gli incendi), hanno ridotto il manto boscato a Macchia secondaria, a Gariga o a Steppa. Fattori geoclimatici particolari, inoltre, hanno permesso l’insediamento di forme più o meno integre di Macchia sempreverde a notevole distanza dal mare, talvolta persino all’interno di una città come Roma.
LA GARIGA
E’la forma degradata della Macchia sempreverde, ove scompaiono le specie ad alto e medio fusto e le essenze cespugliate si riducono nelle dimensioni.
LA STEPPA
Ultima fase della vegetazione mediterranea prima della desertificazione, è costituita da piante erbacee. Se difesa dal pascolo e dagli incendi può tornare a costituire dapprima la gariga, poi la macchia secondaria e, dopo alcuni decenni, la macchia primaria.
LA SUGHERETA
Piantata per scopi di sfruttamento della sua corteccia ( il sughero) la Sughera (Quercus suber), è presente in alcune zone dell’entroterra, spesso con sottobosco simile a quello della Macchia sempreverde, altre volte come bosco monotipico.
IL BOSCO DECIDUO MISTO
Laddove le condizioni del suolo e la piovosità relativa lo consentono, il Bosco misto di latifoglie prende gradualmente il sopravvento sulla Macchia sempreverde. Le piante che lo compongono non sono particolarmente resinose e in autunno perdono le foglie che nella stagione vegetativa restano relativamente ricche di acqua. Il bosco deciduo misto viene normalmente sfruttato dall’uomo che interviene con il taglio culturale ad intervalli regolari di tempo. Viene perciò comunemente chiamato anche bosco ceduo (dal Lat.
Coedere = tagliare). In alcuni forestali protetti ove non è consentito lo sfruttamento del legname, il bosco ceduo si evolve allo stato di Foresta primaria, con piante ultracentenarie e un fitto sottobosco.
Nel bosco deciduo misto prevalgono le querce presenti con la Farnia (Quercus robur), il Cerro (Quercus cerris), il Rovere (Quercus petraea), la Roverella (Quercus pubescens) il Farnetto (Quercus frainetto). Alle querce sono associate numerose altre essenze arboree tra cui il Corniolo (Cornus mas), il Tiglio (Tilia cordata), l’ Acero (Acer campestre),l’ Olmo (Ulmus campestris), il Sanguinello (Cornus sanguinea), l’ Orniello (Fraxinus ornus), il Carpino (Carpinus betulus), il Pero selvatico (Pyrus sp.), il Melo (Malus sylvestris), il Nocciolo (Corylus avellana). Alle specie arboree si associano, a livello di sottobosco e ai margini, essenze cespugliose quali il Prunus (Prunus spinosa, il Biancospino (Crataegus monogyna), il Rovo (Rubus sp.), la Rosa (Rosa sp.), il Sambuco (Sambucus nigra), l’Ebbio (Sambucus ebulus), l’Evonimo (Euonymus europaeus).
BOSCO CEDUO DEGRADATO
Incendi e pascolo hanno trasformato la maggior parte dei boschi misti decidui in ambienti degradati, ove le essenze arboree non riescono a superare il livello del sottobosco o si presentano in formazioni fortemente diradate con ampie radure occupate dal Rovo. Nel linguaggio comune una tale involuzione è definita Ceduo degradato.
CESPUGLIATI
Sono costituiti da zone prevalentemente occupate dalle essenze cespugliose tipiche del sottobosco del Bosco misto deciduo, con notevole presenza della Ginestra comune (Spartium junceum),che spesso è specie esclusiva. Anche il Rovo e il Pruno formano associazioni pressochè esclusive che preparano le condizioni per una successiva ricostituzione del Bosco misto.
PASCOLI NATURALI
Sebbene siano da considerare Pascoli naturali solo quelli che crescono ad una quota superiore al livello della Faggeta, consideriamo in questa sede le zone che, ha seguito di millenarie pratiche di pascolo e incendio, hanno visto sparire tutte le essenze arboree e cespugliose. Ci troviamo, in tali habitat, in presenza esclusiva di una variegata flora erbacea in cui prevalgono le Graminacee.
AMBIENTI PALUSTRI E RIPARIALI
Ove il terreno è ricco di umidità, in zone palustri o lungo i corsi e gli specchi d’acqua, sono presenti specie a rapido accrescimento come il Salice (salix sp.), il Pioppo (populus sp.), l’Ontano nero (Alnus glutinosa). In questi habitat i cespugli sono sosituiti da una flora erbacea ad alto accrescimento con fusto rigido come la Cannuccia ( Phragmites communis) la Canna (Arundo donax) la Tifa (Typha latifolia), la Salcerella (Lythrum salicaria), il Pepe d’acqua (Eupatorium cannabinum).
Data la tendenza degli anni passati a spianare e cementificare gli argini e il progressivo prosciugamento di stagni e paludi, tali habitat, estremamente preziosi, stanno scomparendo un pò ovunque.
LA MACCHIA DI ROBINIA
Introdotta dal continente americano per la grande capacità di attecchimento (veniva usata soprattutto per il consolidamento delle scarpate stradali), la Robinia (Robinia pseudoacacia), ha invaso un pò ovunque il territorio formando, specialmente lungo le strade, boschetti esclusivi. La Robinia è una specie infestante che sostituisce la vegetazione autoctona ed è, per il mondo protezionista, una specie da eradicare.
IL CASTAGNETO
Nella fascia submontana l’opera dell’uomo ha sostituito coltivazioni di Castagno (Castanea sativa) al Bosco misto deciduo. Il Castagneto è un’associazione monospecifica, con un sottobosco che viene mantenuto basso sia dalla scarsa penetrazione dei raggi solari, sia dagli interventi dell’uomo impegnato nelle operazioni culturali.
LA FAGGETA
Tipica del piano montano e submontano, é formata dal Faggio (Fagus sylvatica) talvolta in associazione con il Carpino nero (Ostrya carpinifolia) e l’Acero montano (Acer pseudoplatanus).
E’ ambiente di elevatissimo valore naturalistico e idrogeologico.
IL RISCHIO DA INCENDIO NELLE PRINCIPALI FITOCENOSI
Come abbiamo osservato nelle sezioni precedenti, esistono delle condizioni particolari che consentono lo sviluppo di un incendio. Se il fattore umano è quello che alle nostre latitudini comporta l’accensione di un focolaio, perchè questo si sviluppi sono necessari i tre elementi del triangolo del fuoco. L’elemento maggiormente inibitore dei tre elementi
è l’acqua. Questo prezioso liquido assolve sia alla funzione di raffreddamento della temperatura di combustione sia a quella di rendere indisponibile l’ossigeno. Appare
quindi ovvio che la maggiore o minore presenza d’acqua sia quella che prioritariamente influenza l’indice di rischio da IB. I parametri che determinano la presenza dell’acqua nei siti vegetativi sono i seguenti:
a) Piovosità relativa
Incide sull’umidità dei suoli, ove, attraverso l’apparato radicale, viene fornita acqua ai tessuti fogliari.
b) Temperatura dell’aria
Favorisce l’evaporazione dell’acqua dai suoli e dai tessuti fogliari. c) Ventosità
Lo stesso che al punto b)
d) Esposizione solare
Lo stesso che ai punti b) e c)
e) Struttura del suolo
La densità granulare dei suoli determina maggiore o minore drenaggio degli stessi. Un terreno sabbioso non trattiene a lungo l’acqua negli strati utili all’approvvigionamento delle piante. Un terreno argilloso (a tessitura finissima) consente lunghi ristagni e un approvvigionamento durevole.
f) Periodo vegetativo
La parte aerea (fusti e foglie) delle piante erbacee si rinnova annualmente e in determinate stagioni rimane come residuo privo di liquidi.
g) Presenza di acque correnti e stagnanti di superficie. Permette un approvvigionamento idrico costante.
L’altro elemento del triangolo da considerare è la presenza di combustibile. Dato che il fuoco si propaga dal basso verso l’alto e che parte sempre da materiale facilmente infiammabile, l’indice sarà maggiore nelle fitocenosi ove sino abbondanti i tre livelli di copertura vegetale del suolo, cioè piante erbacee, cespugli del sottobosco e alberi. E’impossibile assistere ad un incendio di chioma (che passa cioè sulle cime degli alberi), se prima non si è sviluppato un forte incendio alla base della vegetazione più alta. Il
terzo elemento, l’ossigeno comburente va considerato una variabile a causa dell’instabilità atmosferica. Ci occuperemo di esso più avanti.
In base ai suddetti fattori riportiamo di seguito l’elenco delle fitocenosi trattate nella sez. con la valutazione di massima degli indici di rischio e delle difficoltà di spegnimento.
MACCHIA PRIMARIA SEMPREVERDE
Rischio elevato (8) nel periodo estivo, aggravato dalla alta infiammabilità delle essenze ricche di resine; alta difficoltà di spegnimento (10) per l’intrico della vegetazione e l’alto potenziale calorico sviluppato dalle essenze di alto fusto.
GARIGA
Rischio molto elevato (9), nel periodo estivo, per la maggior presenza di flora erbacea secca. Inoltre l’assenza di copertura arborea aumenta l’evaporazione dei suoli. Difficoltà di spegnimento meno accentuata della precedente per minore quantità di combustibile (9).
STEPPA
Rischio elevatissimo (10) per l’alta concentrazione di flora erbacea secca. Difficoltà di spegnimento medio bassa (4) per la scarsità di combustibile.
SUGHERETA
Si distinguono due casi: a) se sfruttata per la raccolta industriale del sughero e, quindi, mantenuta sgombera dal sottobosco; b) se ingombra del sottobosco. Nel caso a) il rischio è molto basso (2) e le difficoltà di spegnimento molto basse (2), limitandosi, di fatto, alla sola rada vegetazione erbacea presente sul suolo. Nel caso b) valga quanto detto per la Macchia primaria sempreverde. Va inoltre considerato che la Sughera colpita dall’incendio non brucia che nelle sue parti fogliari e nei ramoscelli più esili.
L’isolamento termico fornito dalla corteccia (sughero), protegge le parti interne del fusto e dei rami permettendo la ripresa vegetativa della pianta.
BOSCO DECIDUO MISTO
Rischio alquanto elevato nel periodo estivo (7) per la scarsa concentrazione d’acqua nei tessuti fogliari e la presenza di piante erbacee in fase secca o seccaginosa . Difficoltà di spegnimento moderatamente elevate (6) a causa della lenta progressione delle fiamme dovuta alla relativa presenza di liquidi nei tessuti fogliari nelle essenze cespugliose e arboree.
BOSCO CEDUO DEGRADATO
Rischio molto elevato (9), nel periodo estivo, per gli stessi fattori considerati per la
GARIGA. Difficoltà di spegnimento abbastanza elevata (7). CESPUGLIATI
Laddove prevale la Ginestra comune va considerato il comportamento difficile di tale essenza di fronte al fuoco. Lo scarso contenuto d’acqua delle sue foglie e l’alta concentrazione di resine volatili, fanno di questa pianta una delle essenze più pericolose per gli operatori AIB. La Ginestra comune, in presenza di un incendio, non prende fuoco con la velocità delle altre piante. Resiste alle fiamme per alcuni minuti, poi “esplode” quasi come una bottiglia di benzina. La difficoltà di spegnimento può considerarsi elevata (6) e deriva dalla necessità per l’operatore di evitare l’eccessivo surriscaldamento delle essenze con opportuni getti d’acqua alla base e sulla parte aerea delle piante.
Per quanto riguarda i cespugliati monotipici di Rubus e Prunus, il rischio è subordinato all’altezza della flora erbacea secca. Comunque quantificabile come medio (5). Le difficoltà di spegnimento sono medio basse (4), determinate, soprattutto dalla difficoltà di penetrazione attraverso i rami spinosi caratteristici di queste specie.
PASCOLI NATURALI
In genere l’operatore AIB interviene in operazioni di spegnimento su tali fitocenosi perchè preoccupato che questo tipo di incendi possa portare il fuoco verso formazioni boscate .
Pertanto (e lo stesso principio vale per le stoppie di grano e per altri tipi di residui vegetali infiammabili come il Colza), qualora non ci sia contiguità tra tali fitocenosi e le formazioni boscate e cespugliate, è consigliabile solo un intervento di controllo. Il rischio d’incendio è alquanto elevato (7.Le difficoltà di spegnimento, molto basse (2). Ma in genere le superfici utilizzate a pascolo (o a coltivazioni di cereali o Colza) sono molto estese, per cui il tempo impiegato in una tranquilla e metodica azione di spegnimento può stancare l’operatore AIB. Gli interventi in tali situazioni vanno accuratamente selezionati e sono consentiti solo se si è certi che rischi più gravi non incombano su fitocenosi più meritevoli di tutela.
AMBIENTI PALUSTRI E RIPARIALI
La Flora che vegeta in tali ambienti non è particolarmente esposta a deprivazione idrica nel periodo estivo, poichè non trae le sue risorse di approvvigionamento dalla pioggia. Tuttavia l’evaporazione fogliare dovuta alle alte temperature estive può rendere vulnerabili le essenze igrofile in presenza di incendi che provengano da formazioni vegetali ad esse attigui, come boschi decidui o pascoli e coltivi. L’indice di rischio dipende dalla contiguità con tali habitat ed è comunque quantificabile come medio basso (3). Le difficoltà di spegnimento sono analoghe (3), poichè, sebbene le parti legnose degli alberi coinvolti necessitino di quantità notevoli di acqua per essere spenti, le fonti di approvigionamento idrico (stagni, laghi fiumi e torrenti) sono vicinissime al luogo dell’incendio.
LA MACCHIA DI ROBINIA
Sebbene la specie non meriti di essere protetta per quanto già detto in precedenza , quando brucia, specialmente in prossimità delle sedi stradali, crea grossi problemi di sicurezza ed è pertanto necessario affrontare l’incendio. L’indice di rischio è molto elevato (9), la difficoltà di spegnimento media (5), dato che la Robinia non lascia crescere sotto di se alcun sottobosco consistente.
IL CASTAGNETO
In generale la collocazione geografica di tale formazione boscata è situata in zone con piovosità relativa abbastanza costante anche nel periodo estivo. Considerando anche la scarsità di sottobosco possiamo definire molto basso (2) l’indice di rischio. Per le stesse caratteristiche possiamo definire molto bassa (2) anche la difficoltà di spegnimento.
LA FAGGETA
Valga quanto detto per la fitocenosi precedente.
A questi standard vanno aggiunte due variabili . La prima è rappresentata dalla ventosità che insorge dopo che l’incendio è scoppiato e che può fornire più o meno apporto d’ossigeno influendo sulla difficoltà di spegnimento. E’ il caso del forte vento di Scirocco o di Maestrale che perdurando, in taluni casi per più giorni, portano alla distruzione di grandi complessi boscati. La seconda variabile è la pendenza del terreno che, a causa della maggiore progressione del fuoco dal basso verso l’alto, influisce sia sulla propagazione del focolaio che sulla difficoltà di spegnimento.
IL COMPORTAMENTO DEL FUOCO E LA LOTTA ATTIVA
L’incendio boschivo è un evento calamitoso che si distingue dagli altri tipi d’incendio per la capacità di propagarsi in relazione a fattori variabili. La capacità di arginare il fuoco è proporzionale alla determinazione di tali fattori. L’evidente sproporzione tra mezzi ad
alta tecnologia ( impegnati nelle grandi operazioni di spegnimento descritte dalla cronaca negli ultimi anni ) e risultati ottenuti, dovrebbe far riflettere gli addetti
all’elaborazione delle strategie di difesa. Rimandando alla sezione dedicata alla lotta
attiva riflessioni più accurate sul rapporto energie/risultato, è nostra intenzione informare l’operatore AIB su quei fattori che, se determinati, possono rendere più prevedibile il complesso andamento di un IB.
Il primo fattore che analizzeremo è quello relativo al periodo in cui è più possibile che si verifichino incendi con intensità distruttiva. Abbiamo già constatato come nel cosiddetto triangolo del fuoco l’elemento temperatura e comburente siano determinanti per l’accensione di un incendio e la sua successiva evoluzione. L’acqua è elemento determinante in entrambi i fattori: abbassa sempre la temperatura perchè, laddove è presente non può raggiungere i gradi necessari al fuoco. L’ossigeno presente nella molecola H2O, costituente dell’acqua, non è utilizzabile come comburente. Nelle piante vascolari, che costituiscono la flora da proteggere dagli incendi, la presenza di acqua nei tessuti fogliari è determinata dalla capacità di assorbirne (attraverso l’apparato radicale)
dal suolo. Nel suolo la disponibilità idrica ( escludendo i terreni paludosi o in prossimità dei corsi o specchi d’acqua) dipende dalla piovosità relativa. La scarsità delle precipitazioni in determinati periodi dell’anno, il fattore che condiziona l’allertamento delle forze AIB nelle varie zone climatiche . Nell’Italia centro-meridionale, statisticamente, tale periodo è compreso tra i mesi di giugno e settembre. Ed è allora che devono venire attivati uomini e mezzi pronti a fronteggiare l’emergenza. Una volta allertate le forze AIB, esse dovranno attendere segnali concreti che dimostrino l’insorgenza di un evento AIB.
Il primo segnale che si manifesta è il fumo, sia che sia avvistato da un passante, sia che venga segnalato da un punto di avvistamento da una pattuglia. Dalle sue caratteristiche possiamo desumere il tipo di evento che dovremo fronteggiare. Può essere utile lo schema seguente:
FUMO BIANCO = Vegetazione erbacea in fiamme; l’incendio interessa flora erbacea secca. Può trattarsi di un campo di stoppie o di un pascolo. C’è il rischio di un’estensione a complessi boscati o cespugliati. FUMO ROSSICCIO = Arbusti in fiamme; l’incendio sta percorrendo una zona cespugliata. Oppure sta lambendo i margini di un bosco.
FUMO MARRONE SCURO = Bosco in fiamme; l’incendio ha raggiunto la chioma degli alberi.
FUMO NERO = Incendio di prodotti derivati da petrolio; in genere bruciano copertoni e rifiuti ad alto contenuto di materie plastiche. C’è il rischio che possa estendersi alla vegetazione erbacea e, quindi, a cespugliati e bosco.
In generale, la colorazione rossiccio brunastra del fumo dipende dalla concentrazione di vapore acqueo e sostanze resinose nei tessuti fogliari. Tali elementi vengono persi nelle piante che hanno concluso il loro ciclo vegetativo annuale nella stagione estiva e, di conseguenza, i prodotti volatili della combustione saranno di colore chiaro . Le essenze sempreverdi e la vegetazione decidua, nel periodo di rischio manterranno, viceversa, le resine e la concentrazione di liquidi , conferendo al fumo tonalità di colore più scuro (vedi sez. )
La presenza dell’elemento comburente (l’ossigeno) è determinante per l’incremento dell’incendio.
Già in fase di osservazione misureremo la direzione del vento e la sua intensità, giacchè da questo (in quanto vettore di ossigeno) dipende l’evoluzione e la pericolosità dell’episodio che si osserva.
Il fuoco è all’inizio, consideriamo la direzione del
vento e la morfologia della vegetazione L’evoluzione dell’incendio
Sappiamo inoltre che le fiamme tendono a muoversi dal basso verso l’alto, seguendo la conformazione del suolo e che i punti più elevati ricevono maggiore ventilazione di ossigeno dei fondovalle. La continuità della vegetazione fornisce il combustibile necessario alla continuazione dell’incendio. In condizioni di vento costante dovremmo quindi poter prevedere l’andamento dell’incendio.
E’ comunque indispensabile conoscere il tipo di vegetazione che verrà percorsa, le condizioni di umidità della lettiera e lo stato di seccaginosità della vegetazione erbacea.
Per vedere la simulazione con immagine animata della propagazione di un incendio da un campo di stoppie ad un bosco, cliccate qui (gif animato: caricamento lento !)
Va rammentato che i venti variano costantemente nell’arco della giornata così come la temperatura dell’aria: conoscere con sufficientemente tali variazioni ci permetterà di fare delle previsioni sufficientemente attendibili sulla durata di un incendio.
LA LOTTA ATTIVA
Si intende per lotta attiva AIB, l’insieme delle azioni che vengono esercitate dopo l’insorgere di un incendio al fine di determinarne lo spegnimento o la riduzione. Gli operatori AIB, una volta raggiunto il luogo dell’incendio, e dopo aver facilmente spento le deboli fiamme che si muovono sopravvento, dovranno procedere rimanendo sopravvento al fronte principale . Utilizzando l’acqua (che raffredda e soffoca) il terriccio (che soffoca) o sottraendo l’ossigeno necessario alle fiamme comprimendo l’aria ( con i flabelli o con i motosoffiatori), l’ampiezza del fronte d’incendio verrà progressivamente diminuita sino all’estinzione del fuoco. Uno schema metodico che da buoni risultati è il seguente: per uno o entrambi i fronti dell’incendio che procede in favore di vento, verrà gettata dell’acqua sulle fiamme per ridurne l’altezza (ove non sia disponibile l’elemento liquido si potrà usare il terriccio), di seguito si useranno i flabelli o i motosoffiatori per spegnerle completamente e quindi si sposteranno i tizzoni all’interno dell’area già
bruciata per impedirne il contatto con la vegetazione combustibile (azione di bonifica).A
questo punto basta lasciare uno o due operatori che spengano rapidamente e senza sforzo, i piccoli focolai provocati da eventuali tizzoni sfuggiti all’opera di bonifica.
Questo è il procedimento standard, che evita ogni pericolo per l’operatore che si trova sempre su un terreno già percorso dal fuoco e sopravvento rispetto al fumo. Non sempre è possibile rispettare tale procedimento, sia per la natura del terreno o della vegetazione sia per eventuali mutamenti nella direzione del vento.
La figura mostra l’andamento di un incendio su un terreno scosceso (l’altezza delle fiamme ne definisce il potenziale calorifico).
Talvolta il fuoco viene, per improvvisa necessità affrontato sottovento. In tal caso è necessario un forte getto d’acqua un’adeguata protezione del viso e delle mani dell’operatore e l’uso di maschere antifumo. Tuttavia, in tali condizioni, non è possibile operare che per poche decine di secondi e, quindi, gli operatori devono avere, in ogni caso, la possibilità di mettersi velocemente al riparo in condizioni di assoluta sicurezza e con aria respirabile. Laddove l’incendio prosegua con una certa lentezza da pascoli o coltivi verso una formazione boscata, l’operatore può valutare (in condizioni di vento debole e costante) di operare sottovento ( benchè ad una distanza tale di poter respirare aria pura), tagliando la striscia di vegetazione antistante la formazione boscata. In tal modo si evita il contatto tra le fiamme del campo e gli alberi, salvando così il bosco. Chi è molto esperto e intende assumersi la responsabilità civile e penale di possibili danni, può usare anche, nel caso sopradescritto, la tecnica del controfuoco. Tale tecnica
consiste nella rapida e costante accensione di piccoli focolai adiacenti in successione lineare, spegnendone la parte che si avvicina verso il bosco e lasciando camminare quella che si dirige verso il campo. In tal modo si giungerà (ma in maniera molto più rischiosa) allo stesso obiettivo di impedire che le fiamme raggiungano il bosco.
Ogni azione di lotta attiva è, comunque, diversa dall’altra, dato l’enorme numero di variabili presenti, e solo l’esperienza e la vicinanza di persone esperte possono garantire risultati progressivamente soddisfacenti. In ogni caso le raccomandazioni alla prudenza, alla lucidità e alla calma, non saranno mai abbastanza. Come pure il controllo costante delle proprie e altrui condizioni fisiche e psicologiche di lavoro. Un’incertezza o un gesto temerario possono causare inconvenienti molto gravi che possono arrivare alla morte per asfissia o per ustioni. Lavorare sempre sopravvento al fuoco, in buone condizioni psico- fisiche e con facili vie di fuga è il consiglio pressante che ci sentiamo di dover dare agli operatori sino ad ossessionarli. Tali raccomandazioni sono ancora più accentuate quando si usano gli automezzi: alle condizioni di rischio previste per chi opera a terra, si aggiungono la scarsa visibilità, i rischi di circolazione su strada di un mezzo appesantito dai carichi d’acqua,e i rischi di blocco o ribaltamento della guida fuoristrada. Pertanto i conduttori di automezzi dovrannno far camminare il loro veicolo solo in zone già
percorse dal fuoco, seguendo percorsi che garantiscano immediate vie di fuga (su terreni accidentati i veicoli sono molto più lenti delle persone), mantenendo una adeguata distanza di sicurezza anche dalle fiamme poste sottovento e preferendo la noiosa fatica
di far svolgere e riavvolgere i tubi e le manichette delle motopompe, al pericolosissimo rischio di un contatto con le fiamme o il fumo.
STRUMENTI E MEZZI
Oggigiorno siamo abituati a credere che le tecnologie possano risolvere ogni genere di calamità naturale mettendo in secondo piano il contributo dell’uomo. Le immagini televisive che mostrano aerei ed elicotteri impegnati sul fronte di paurosi incendi, celano quello che avviene più in basso, dietro la densa cortina di fumo. E’ a terra che si vince la battaglia contro gli incendi, e il lavoro svolto da migliaia di anni è sempre lo stesso: soffocare le fiamme e controllare minuziosamente che non si riaccendano alla prima folata di vento. Per far ciò ai montanari sono sempre bastate le frasche, le pale e modesti quantitativi di acqua. Oggi disponiamo di strumenti un pò più sofisticati, ma che in sostanza assolvono alle stesse funzioni.
FLABELLI
Servono a sottrarre ossigeno al fuoco, colpendolo vigorosamente dall’alto verso il basso. Realizzati con manici in legno o in lega di alluminio con strisce di materiale ignifugo sono utili negli incendi della vegetazione erbacea.
PALE
Si usano per gettare a terra sul fuoco per soffocarlo e per scostare i tizzoni dalla vegetazione infiammabile dopo che le fiamme sono state spente.
MOTODECESPUGLIATORI
Sostituiscono le falci, ingombranti e pericolose, nel taglio della vegetazione, laddove si tratti di preparare una linea di difesa (ad es. per isolare il lato di un bosco da un campo di fiamme). Si tratta di macchine con un piccolo motore a due tempi che fà ruotare un disco dentato o un cavo di nylon per tagliare erbe e cespugli.
POMPE SPALLEGGIATE
Servono a gettare acqua nebulizzata per abbassare la temperatura delle fiamme. Si tratta di taniche che si indossano come uno zaino, con una pompa a mano o a motore e un cannello o un cono per l’irrorazione. Sono molto utili sui terreni accidentati dove le autopompe non possono arrivare, pur essendo piuttosto pesanti e ingombranti nei movimenti.
MORTOSOFFIATORI
Apparecchi dotati di motore a due tempi che dirigono un getto di aria compressa mista
ad acqua nebulizzata sulle fiamme. Il serbatoio dell’acqua è piuttosto piccolo ma, spesso, la sola aria compressa è sufficiente a spegnere le fiamme. Negli incendi di lettiera, il getto d’aria è molto utile per separare i tizzoni dal materiale fogliare incombusto.
SOSTANZE RITARDANTI
Vengono usate sia in fase di prevenzione sia durante la lotta attiva, effettuando delle irrorazioni aldilà del fronte dell’incendio, arrestandone così l’avanzata. Sono soprattutto a base di fosfato di ammonio e vanno utilizzate diluendole in alcuni mezzi aerei. Dati i costi elevatissimi e i risultati dubbi, se ne sconsiglia l’uso.
AUTOPOMPE
Ne esistono diversi tipi, montati su veicoli a trazione integrale e con ampia dotazione di manichette e lance di regolazione del getto. I più usati dal CFS sono il TSK 400 Baribbi (serbatoio da 400 lt) montato sulla Fiat campagnola, e altri modelli montati su veicoli Fiat OM 75 e 90 PC 4×4, con serbatoi di circa 3000 lt.
Buoni risultati vengono ottenuti con motopompe da 30/40 atm., con cisterne da 500 lt. e tubi raccordabili sino a 100 mt. di lunghezza, montati sui vari tipi di fuoristrada che posseggano un cassone posteriore di dimensioni adeguate.
TRATTORI E BULLDOZER
Servono a predisporre fasce di terreno prive di vegetazione per arrestare la continuità della vegetazione e fermare l’incendio.
AEROMOBILI
Tra gli aerei i più comunemente utilizzati sono gli Hercules 230 e i G222, attrezzati con moduli appositi per il lancio di sostanze ritardanti (circa 6000 lt caricati a terra) e il Canadair CL 215 che “pesca” l’acqua direttamente dai laghi e dal mare, decisamente più adatto per la rapidità ei minori costi di esercizio. Gli elicotteri (Breda Nardi Nh 500 D e Augusta Bell 206 B) trasportano grossi secchi riempiti con acqua e sostanze ritardanti (300-500 lt) e vengono usati anche per l’osservazione e il controllo degli incendi. L’elicottero pesante CH 47 C Chinook con secchio da 5000 lt viene usato di frequente ma è poco veloce e impreciso nei lanci.
IMPIANTI RICE – TRASMITTENTI
Servono a garantire le comunicazioni fra le squadre d’intervento, i mezzi aerei e le centrali operative. Vengono soprattutto usati apparati in VHS in AM e FM, ma dato il sovraffollamento dell’etere spesso creano delle difficoltà. Per le comunicazioni a breve distanza (15-20 Km.) molti gruppi di volontariato usano apparecchi in Citizen Band, ma con risultati piuttosto dubbi.
L’avvento dei telefoni cellulari ha risolto parecchi problemi a tutti i servizi di emergenza e, oggi, in zone di comunicazioni disturbate come la Provincia di Roma, rappresentano il mezzo di comunicazione con il miglior rapporto efficacia/economia.
INDUMENTI
Devono assicurare una sicura protezione dal calore, dal fumo e da scintille e tizzoni, compatibilmente con le situazioni ambientali con le quali si indossano. Le tute devono essere intere ad evitare che il peso della giacca induca a liberarsene lasciando le braccia esposte, leggere ma con una certa resistenza alle bruciature e di colore ben visibile. Le scarpe alte con suola isolante. Il copricapo aereato e leggero, ma in grado di riparare da possibili colpi. Va inoltre indossato un cinturone con ganci che permetta il trasporto di accessori personali quali maschere antifumo, guanti, occhiali ecc. Per quanto sia necessario l’uso di borracce non è consigliabile portarle addosso, per il sovraccarico che ne consegue, e il surriscaldamento a cui sono esposte. E’ preferibile conservare l’acqua in contenitori refrigeranti lontani dal fuoco.
LA PREVENZIONE
Se i sistemi di difesa basati sulla prevenzione trovano sufficiente applicazione in numerosi settori di rischio della collettività ( salute, igiene, educazione, criminalità, ecc.), nel settore AIB assistiamo, nel nostro Paese a lacune e abissali carenze alle quali va imputata la maggior parte del degrado del patrimonio boschivo. In questa sezione
tratteremo di tutte quelle iniziative mirate a ridurre preventivamente il rischio d’incendio in maniera di limitare gli interventi contro l’emergenza ad una casistica meno
drammatica di quella attuale.
Difesa passiva dei boschi
Nella sezione dedicata alla lotta attiva, abbiamo considerato i rischi e le fatiche a cui viene sottoposto il personale impegnato. La sezione sui mezzi e dotazioni tecniche,ci ha dato un’idea dei costi economici che un’azione di spegnimento comporta. Le azioni di prevenzione, al contrario, non comportano rischi e il loro costo è decisamente inferiore a quello delle operazioni di spegnimento. Senza voler approfondire troppo in termini di calcolo economico, la questione cercheremo di dare un esempio pratico dell’incongruità delle scelte di intervento postumo a scapito delle azioni di prevenzione: considerando un bosco di 400 Ha. che occupa un’area geometricamente molto irregolare, possiamo calcolarne il perimetro in 10 Km.. Se questo bosco prende fuoco e la progressione delle fiamme è relativamente bassa (5 mt. /min. ) avremo una perdita di legname valutabile intorno ai 30 milioni. I costi di un intervento di spegnimento effettuato con mezzi aerei possono essere valutati in media sui venti milioni l’ora (calcolo per difetto e senza considerare l’uso di sostanze ritardanti e il personale di terra) e in ogni caso la perdita di legname viene solo ridotta in minima parte. Un’azione preventiva di pulizia delle fasce perimetrali del bosco suddetto, costa, invece quanto 5 giornate lavorative di un trattorista con relativa macchina. Eliminando la vegetazione secca infestante per una fascia di cinque metri esternamente al perimetro del bosco, praticamente si riduce a zero il rischio
d’incendio. In passato si è cercato di raggiungere lo stesso risultato irrorando con liquido ritardante le fasce perimetrali dei boschi, ma gli alti costi e il rischio di dilavamento per pioggia delle sostanze impiegate, sconsigliano tale pratica. Un altro sistema sperimentato in Francia consiste nel pascolo controllato delle capre nelle zone in cui deve essere eliminata la vegetazione erbacea. Tuttavia nei fragili ecosistemi forestali della Provincia di Roma, tale pratica andrebbe tenuta sotto strettissimo controllo per non creare danni
alle giovani essenze arboree. Infine, sarebbe opportuno che all’interno dei complessi boscati di una certa entità, venissero create delle piste sterrate per favorire il transito dei veicoli antincendio e interrompere la continuità della vegetazione in caso di incendio.
Campagne educative
Nonostante il gran risalto dato alla comunicazione sugli incendi da parte dei mass media, i risultati tardano a concretizzarsi. Molto spesso l’informazione viene data in maniera poco puntuale, senza nessun collegamento con le campagne pianificate dagli enti locali e con gravi lacune tecnico scientifiche. A nostro giudizio sembrano cogliere migliori risultati le iniziative d’informazione rivolte alle categorie di cittadini più interessati al fenomeno, in particolare gli agricoltori, avvertendoli dei rischi di certe pratiche e abitudini, e ammonendoli sulle responsabilità penali e civili a cui vanno incontro esponendo la collettività al pericolo di incendi. La propaganda nelle scuole, oltre a formare una generazione più sensibile al problema per gli anni futuri, può alle volte trasformare i ragazzi in vacanza in piccoli “rangers” volontari che segnalano la presenza di focolai. Vanno inoltre sensibilizzati tutti i soggetti (turisti “ecologici”, pescatori, escursionisti, marinai da diporto ecc.) perché segnalino ai comandi di stazione del CFS
le situazioni di pericolo. Tutte le forze di pubblica sicurezza e dell’esercito vanno ovviamente coinvolte, attribuendo in questo caso anche compiti di primo intervento per quanto riguarda il pericolo alla popolazione civile. Ciò comporta indubbiamente un sovraccarico di informazioni per le centrali operative, ma riteniamo che, ove vengano fornite ai potenziali collaboratori informazioni precise per valutare con esattezza i livelli di rischio, (ad es. con una massiccia campagna di diffusione di brevi opuscoli) e facendo conoscere i recapiti dei presidi territoriali che possono facilmente controllare la fondatezza delle segnalazioni, i risultati potranno essere soddisfacenti. Abbiamo sperimentato tale sistema nella zona di Castel di Decima, da noi presidiata sin dall’80, e ciò si è rivelato estremamente proficuo, (specialmente nelle ore notturne quando è impossibile mantenere un punto d’osservazione permanente, e nelle zone d’ombra dei nostri punti d’avvistamento).
CONTROLLO E MONITORAGGIO DEL TERRITORIO
Se si ha una buona conoscenza del territorio da presidiare, all’inizio della stagione di rischio va effettuata una mappatura di pericolosità delle zone esposte.
Va verificato l’andamento stagionale di crescita della flora erbacea, l’indice di piovosità relativa, lo stato del sottobosco e della lettiera, il tipo di colture agricole in corso di rotazione, la presenza di attività di pastori, carbonai, boscaioli, ed escursionisti. In base a tale mappatura si intensificheranno i controlli sulle aree considerate più esposte, con
frequenti passaggi durante la giornata di personale riconoscibile da distintivi o uniformi che si fermerà a parlare con la gente fornendo informazioni e ammonendo sui pericoli di incendio.
I veicoli più efficaci in tale attività sono risultati essere le motociclette “da Enduro” per la capacità di raggiungere quasi ogni luogo, per la velocità sia su strada che su fuoristrada, per i ridotti consumi e per il comfort che offrono, specialmente con le alte temperature estive.
LO SPEGNIMENTO
Gli interventi di spegnimento iniziano nel momento in cui si raggiunge il luogo ove si svolge un episodio di incendio. Abbiamo già sottolineato il fatto che la rapidità di inizio delle operazioni di spegnimento é il fatto decisivo dell’esito di un intervento, pertanto sarà opportuno elaborare rapidamente una strategia da seguire, iniziando il prima possibile a limitare l’estensione del fronte del fuoco. Non é possibile, senza notevole esperienza, ma anche in questo caso gli errori sono frequenti, scegliere sempre la maniera migliore per muoversi.
Intensità e costanza del vento, condizione del terreno e della vegetazione, come abbiamo visto sono fattori variabili che determinano scostamenti notevoli dal modello generale che si prende in considerazione; tuttavia durante le operazioni terremo sotto controllo l’evolversi della situazione modificando o correggendo le nostre mosse in relazione al
suo evolversi. Gli interventi di lotta a terra, a meno che non si disponga di grosse autobotti e di una riserva d’acqua illimitata, vanno sempre concentrati nel momento in
cui l’intensità delle fiamme cala temporaneamente. Un calo di vento, un pendio in discesa, un tratto fresco di vegetazione, sono momenti in cui lo sforzo é più proficuo e la pericolosità per il personale ridotta, ed é in questi momenti che intensificheremo gli
sforzi, per poi riposare e risparmiare acqua quando la dirompenza delle fiamme renda vano il lavoro a terra.
Come abbiamo visto il fuoco si muove soprattutto in favore di vento, formando un poligono irregolare di forma vagamente triangolare. Noi dunque, dopo aver facilmente spento le fiamme che si muovono contro vento, agiremo su due lati del fronte, spegnendo progressivamente le fiamme fino a raggiungere il vertice del fronte ponendo fine all’incendio. Allo scopo, su ogni lato si muoverà una squadra formata da tre elementi: il primo, con la pompa spalleggiata o l’atomizzatore, irrorerà le fiamme raffreddandole; il secondo le soffocherà con il flabello; il terzo, con la pala, getterà i tizzoni ancora fumanti all’interno della parte già bruciata, ad evitare una ripresa delle fiamme.
Qualora il fronte delle fiamme sia talmente vasto da non poter essere spento e si stia dirigendo verso un complesso boscato, é possibile intervenire approntando dinanzi a quest’ultimo una linea difensiva con un controfuoco. Si tratta di predisporre una fascia priva di vegetazione con l’aiuto di motodecespugliatori, appiccando il fuoco in più punti spegnendo le fiamme in favore di vento e lasciando andare le altre in direzione del fronte
principale. Questo si fermerà non trovando più materiale combustibile sul suo percorso. Tale operazione va in ogni caso effettuata solo dopo una lunga preparazione, in condizioni di venti moderati e costanti laddove esista la possibilità per il personale di allontanarsi rapidamente in caso di imprevisti. In ogni intervento vanno comunque scrupolosamente osservate le seguenti norme:
a) Il personale deve essere riparato con idonei indumenti
b) Vanno allontanati e sostituiti gli elementi che mostrino segni di affaticamento o malessere fisico, facendoli riposare in luoghi ombreggiati e al riparo dalla possibilità di essere raggiunti dal fumo e dalle fiamme
c) Va individuato un luogo sicuro ove parcheggiare i veicoli di trasporto facilmente raggiungibile e sorvegliato da un elemento che manterrà i contatti radio con la base
d) Vanno evitati sforzi continui che superino i 10 minuti
e) Le squadre dovranno essere dirette da un responsabile che controlli costantemente l’evoluzione del fuoco e il lavoro dei compagni, prevedendo possibili rischi e complicazioni
f) In ogni caso va privilegiata la sicurezza delle persone
g) Nella scelta dei percorsi per raggiungere o allontanarsi dall’incendio vanno scelte le soluzioni che permettano di raggiungere la base operativa o i centri di pronto soccorso senza il rischio di rimanere bloccati
h) Gli elementi scarsamente capaci o insofferenti nell’adempiere le direttive dei responsabili sono da considerarsi assolutamente non idonei in quanto causa di pericolo per se stessi e per gli altri.